Il Botto _ The Deus Swank Rally_Chapter 3

E adesso? Fino a settembre saremo orfani dell’evento più cool che segnerà il 2017.Deus Milano Rules.

Nonostante l’abbondanza di eventi dedicati ai motociclisti  Deus è capace di tirare fuori dal cilindro (mai parola fu più azzeccata) una sorpresa che supera le altre. A dire la verità un’anteprima l’avevo avuta. Un mese prima dell’evento ho ricevuto l’invito a partecipare al tracciamento del percorso di trasferimento tra i due fettucciati teatri delle prove cronometrate.
Come si evince dall’immagine l’anteprima non è stata una passeggiata. La pioggia dei giorni prima del sopralluogo ha reso il viaggio una vera e propria avventura.

Da qui potete capire il sollievo quando ho visto il meteo relativo ai giorni prima, durante e dopo la gara. SOLE.

Per me e il Beta si preannuncia una passeggiata trionfale.

Arriviamo di prima mattina, neanche il tempo di ambientarci e la zona di fronte al tracciato si riempie di motociclette. C’è un po di tutto, ma l’enduro vintage la fa da padrone.

Arriva il consueto momento del briefing, 50 gradi all’ombra, inizio a sognare qualche nuvola. Nulla all’orizzonte. Sono pronto. Scaldo il beta….. Come si può intuire dalle immagini la scelta di scaldare la moto in anticipo non è azzeccatissima. Faccio in tempo a spegnerla tre volte e, finalmente, arriva il mio turno.Parto, evito di mitragliare di terra il commissario e mi involo sul tracciato. La prima parte scivola via senza grossi problemi, il tracciato è veloce. Un tornante a sinistra e …. accidenti, una salita.Lo spirito di conservazione alleggerisce la mano sul gas e per poco non finisco come il pilota in foto. Gli altri piloti arrivano a cannone, lascio strada, e in quel momento mi ritornano in mente le parole che diceva mia Nonna: “Alessandro, ricordati, tutta la strada che fai in salita la ritroverai in discesa”. Sinceramente i detti di mia Nonna hanno sempre lasciato il mio unico neurone pressoché nello stato vegetativo in cui si trova oggi, ma nel momento esatto in cui, faticosamente, raggiungo la vetta tutta la verità di quelle parole me la ritrovo davanti. Un discesone con curva in contropendenza completamente coperto di paglia. Non provo neanche a pensare, sono già lanciato verso l’abisso. Provo a frenare con il posteriore che scodinzola senza ritegno e, non avendo il minimo coraggio di pinzare l’anteriore, faccio una lunga digressione sull’erba fresca.Con fatica sono di nuova a valle, ringrazio il cielo di essere ancora vivo e parcheggio la moto. Con la scusa delle riprese aeree la lascio lì fino al trasferimento.

Faccio un paio di riprese con il drone a mi accorgo subito di un fitto traffico aereo, un altro drone identico al mio mi sfiora e si va a schiantare contro gli alberi. Atterro impacchetto il veivolo e comunico a Filippo che precederò il gruppo verso la seconda prova.

Partiamo, siamo in tre. Dopo un chilometro sono solo. Il Beta scalcia, se non lo si tiene oltre i centomilagiri sembra si ingolfi, e, in una discesa, lo fa. Si ferma, sono solo. Cerco di riaccenderla. Nulla, nel bel mezzo di nulla.

Grazie al cielo arrivano soccorsi e, dopo una bella spinta, il Beta resuscita.

Arriviamo al Monte, il regno di Filippo Bassoli. Un promontorio che si erge nella valle come una gemma fatta a forma di endurodromo.Do fondo a tutte le mie capacità di pilota, di drone, ma, inevitabilmente, arriva il mio turno. Se la pista a Varano mi sembrava difficile questa è impossibile. Oggi il giudice di gara è più accollato e non mi resta altro da fare che puntare lo sguardo sul tracciato. E’ talmente in pendenza che si vede tutto senza alcuno sforzo. E’ l’ora del giro di prova prima di quello cronometrato, lo faccio in piena sicurezza. Quando scatta il cronometro, sono una furia. Mi lancio a tutta forza tra la polvere, il mio avversario è in sella ad una Kawasaki z400 scramblerizzata. Mi viene da ridere, ma mi trattengo.

Il Beta è imbizzarrito, mi risuonano in testa tutti i consigli che ho cercato di inocularmi nelle vene, mi lancio nelle curve sfruttando gli “appoggi” anche se non ho idea di cosa siano. E, alla fine, lo capisco di colpo. Mi appoggio talmente tanto che in una curva la moto si ferma di colpo e mi proietta oltre il terrapieno. Che BOTTO! Atterro sulla spalla destra, sono convinto di essermi rotto la clavicola. Mi rialzo in fretta e cerco di raccogliere la moto ancora accesa. La alzo e si spegne. La riaccendo, riparto e alla curva, dove si aggira un albero, rimango in piedi per miracolo. Arrivo al panettone, non so più chi sono, cerco di saltarlo e atterro come un ferro da stiro. Povero Beta. Arrivo a gattoni mentre, borbottando, mi sorpassa il Kawa. Con il morale negli abissi più profondi mi accingo a percorrere la tappa di trasferimento verso Varano. Non è il percorso fatto all’andata, è un’altro tracciato di circa 30 chilometri, asfalto e sterrato che misurerò più volte sdraiandomi con l’incolpevole Beta. Arrivo a Varano. Vorrei baciare la terra. Parcheggio la moto e dico addio a qualsiasi velleità di cronometro per la terza e ultima prova di fettucciato.

Sono distrutto. Mentre cerco di riavermi compaiono i fratelli Vegetti. “possiamo provare il Beta?” “Certamente”…..Il Beta scarica tutta la sua potenza sulla terra e nel giro di un paio di muniti vedo ricomparire Vittorio, jeans, camicia e Sebago in una nuvola di polvere e, vi sembrerà impossibile, il Beta, impennando, sorride.

Grazie a Marco Campelli e Marco Renieri per le splendide immagini.

Crescéndo_Deus Swank Rally_Autodromo di Monza_ chapter 2

crescèndo ger. (di crescere) e s. m., invar. – 1. Didascalia musicale che indica il graduale aumento d’intensità dall’uno all’altro suono di un passo musicale, abbreviata spesso in cresc. o ridotta allo speciale segno. 2. fig. Aumento progressivo d’intensità: un c. d’applausi, di urla, di fischi; la gara si svolse con un c. entusiasmante. (Treccani)

L’articolo potrebbe finire con la semplice pubblicazione delle foto realizzate da Marco Campelli, Marco Renieri, Francesco Ferrari e dal mio fido drone DJI Mavic come chiosa alla definizione data alla parola Crescéndo dalla Treccani.

Questa è la sensazione che ti rimane a quattro giorni dall’ennesimo entusiasmante evento di Deus Italia. Credo nessuno mai sia riuscito ad organizzare una gara di enduro all’interno del parco dell’autodromo di Monza, con arrivo sulla parabolica.

No ragazzi, non l’ha fatto mai nessuno.

Guardate bene le foto. Nella terza, in sella ad un Beta 250 regolarità del 1977, il pilota, sotto il casco rosso, ha un sorriso che gli va da un’orecchio all’altro. Come faccio a saperlo? Sono io.

L’immagine può trarre in inganno, sembra io sappia cosa stia accadendo, in realtà cerco di capire le intenzioni del mio scorbutico destriero, ma sono talmente affascinato dal luogo in cui mi trovo che lascio fare a lui.

Ormai in preda al delirio endurista, 10 giorni prima della gara brianzola, mi imbatto in un annuncio, su un noto portale di vendita online, di un Beta 250, ed è amore a prima vista.

Non ho mai guidato nulla di simile e mi appresto ad affrontare una gara mai realizzata fino ad oggi. Per precauzione chiamo mia mamma, un saluto prima della partenza, rimango vago sui programmi della giornata e lei si raccomanda di andare piano.

Accendo la moto e per prendere confidenza percorro un rettilineo alberato che porta al fettucciato. Prima, Seconda e finalmente in terza il Beta decide di riappoggiare la ruota anteriore sull’asfalto. Realizzo immediatamente che sarà una lunga giornata.

Mi faccio forza, drone in spalla vado verso il tracciato dove Matteo Quadrio sta definendo gli ultimi dettagli prima della partenza. Con la scusa del sopralluogo per le riprese approfitto per il mio giro di prova. Rettilineo di ghiaia spezzato da due varianti, freno, aspetto che il Beta riappoggi la ruota e sterzo. Lentamente supero gli ostacoli e, a metà del dei 5 chilometri di bosco lombardo, quasi mi commuovo. Lascio fare al Beta e mi guardo attorno. Tutto è così incredibile che non sembra vero.

Che posto ragazzi, e io sono qui, nel cuore del tempio della velocità a combattere con radici, rami e fango.

Quando credo di aver visto tutto con un piccolo balzo mi ritrovo sulla mitica parabolica di Monza, il cuore esplode e spero non finisca mai.

Ma è ora che cominci la gara.

Rapido briefing (non ammazzatevi e non ammazzate nessuno) e siamo pronti al via.

Come di consueto le mie ghiandole salivari decidono di andare in vacanza mentre aspetto il mio turno vicino al bidone dove è appoggiato il cronometro che sta scandendo il tempo del pilota partito prima di me. Tempo stimato per quelli bravi sotto gli 8 minuti. Fa un caldo allucinate, ogni trenta secondi allungo il collo per controllare il passare dei minuti, sembro un piccione. Decido di cambiare tattica e, per distrarmi, mi concentro sulla generosa scollatura del giudice di gara. Beccato, ritorno a fare il piccione.

E’ il mio turno, aziono il timer e parto. Sento urlare il mio nome (grazie Ale) e nella foga rischio di schiantarmi alla prima curva. In piena trance agonistica mi sembra di essere una libellula tra gli ostacoli. Ogni curva, salto o buca non hanno più segreti per me. Sicuramente stamperò un tempo record degno della mia mitica moto.

A riportarmi con i piedi saldamente per terra è Adelio Lorenzin (foto sopra) che in un punto impossibile mi passa come se io fossi seduto al bar a sorseggiare un caffè troppo caldo. Il tempo di sentire PISTA!! e non lo vedo più. Ma che importa procedo con la velocità di un levriero che insegue la lepre e…subisco un secondo sorpasso. Mi convinco di essere stato vittima di un miraggio e sono sulla parabolica. Volo verso il traguardo, inchiodo di fianco al bidone e clamorosamente sbaglio postazione. Arretro, corre in aiuto anche Ale che raccoglie il secondo cronometro. Si gira sconsolato verso di me e mi comunica che qualcuno lo ha già fermato su 8,22 minuti. A me sta bene.

Adelio si piazzerà secondo, forse perché ha trovato me sulla sua strada, ma non ho mai visto uno più felice ad una premiazione. (Secondo podio in due gare, per tutti e tre i primi classificati)

 

In realtà uno più felice c’era. Io. Grazie Deus Milano. Ci vediamo per la terza tappa.